4 Maggio 2024

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LEONARDO LIDI DIRIGE “MEDEA” DA EURIPIDE, NUOVA PRODUZIONE DEL TEATRO STABILE DI TORINO

Fonderie Limone di Moncalieri, 2 – 21 aprile 2024 | Prima nazionale

Martedì 2 aprile 2024, alle ore 20.45, alle Fonderie Limone di Moncalieri, debutta in prima nazionale la nuova produzione del Teatro Stabile di Torino diretta da Leonardo Lidi, artista associato dello Stabile e Vicedirettore della Scuola per Attori: Medeada Euripide, per la traduzione di Umberto Albini. Dramaturg Riccardo Baudino. Saranno in scena Orietta Notari, Nicola Pannelli, Valentina Picello, Lorenzo Bartoli, Alfonso De Vreese, Marta Malvestiti. Scene e luci sono di Nicolas Bovey, i costumi di Aurora Damanti, il suono di Giacomo Agnifili. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, sarà replicato per la Stagione in abbonamento fino a domenica 21 aprile.

Leonardo Lidi affronta una delle tragedie più crude e spietate dell’antichità. Medea, figura chiave della letteratura classica e simbolo senza tempo del dolore femminile, è colei che ha abbandonato la propria patria per seguire un uomo, che l’ha resa madre per abbandonarla, poi, per una donna più giovane, in mone del proprio tornaconto. Medea non ha alcun luogo o famiglia a cui far ritorno, scartata perché di intralcio a un progetto personale e politico, quello di Giasone, che esclude pietà e sentimenti. Due universi destinati a una fatale collisione, due visioni del mondo completamente diverse – maschile e femminile – che rendono questo racconto tragico quanto mai attuale e necessario. Nella parte della protagonista Orietta Notari, che ha vinto il Premio Le Maschere del Teatro Italiano come miglior attrice non protagonista, per la sua interpretazione ne Il gabbiano, diretta da Leonardo Lidi.

Note di Leonardo Lidi
Una mappa. Quando ripenso a questo triennio vissuto insieme al Teatro Stabile di Torino immagino una mappa scarabocchiata, usurata, spiegazzata e sempre con me. In questo pezzo di carta ho delineato un percorso, ho segnato delle tappe imprescindibili, ho annotato dei luoghi/contenuti da visitare e inserito di tanto in tanto dei punti interrogativi per domandarmi quale fosse la strada più bella – e non la più veloce – da percorrere. In questo triennio post pandemico, quando mi è stato chiesto di presentare un progetto personale, mi sono detto che prima di rientrare in sala c’era bisogno di empatia volontaria rispetto al pubblico, di scacciare la paura delle emozioni, e soprattutto ho pensato che fosse arrivato il momento di mettere l’amore al centro del progetto, di organizzare un Simposio lungo trentasei mesi dove potersi mettere a nudo per discutere delle bizzarre scelte del nostro cuore. E quindi Misantropo e Come nei giorni migliori. E intorno a questi spettacoli quanto abbiamo parlato d’amore!
Intervistando, studiando, documentando quello che ci succede quando perdiamo la testa, quando non gestiamo il sentimento ma ci lanciamo senza protezione. E come terza tappa? Un mito; un archetipo che possa aiutarci a mettere un punto e virgola in questo viaggio nella fantasia, un aiuto che possa consigliarci se deviare o proseguire il percorso. Medea – una storia d’amore.
C’è una battuta, la seconda detta dalla protagonista, che ogni volta che leggo nella bellissima traduzione di Umberto Albini mi sorprende come un fulmine: «Soffro, lo capite che soffro?»

E poi, solo in un secondo momento, l’attenzione ricadrà sui figli e sulle maledizioni a loro riservate. Ma prima c’è uno stato d’animo, uno stato d’animo dettato dall’amore. Come se Cipride non avesse risparmiato neppure lei dal gioco dell’amore e del caso: Giasone non ha più attenzione per lei e lei trova il modo di farsi notare, come una bimba che non ha gli sguardi su di sé e quindi distrugge il castello di sabbia che ha appena costruito con tanta fatica, una bimba che si mette a piangere disperata e terrorizzata per la disgrazia da lei stessa generata. Lacrime sulle macerie. La distruzione di un amore. Medea è conosciuta unicamente come la madre che uccide i figli, la sua azione è talmente indicibile che, come accade anche nella contemporaneità, ha messo in ombra tutto il resto. Ecco dunque che Medea ha smesso di esistere, il nome e la storia sono stati macchiati dall’evento in maniera indelebile. A me interessa quello che c’è stato prima: mi interessa studiare la fotografia di questa donna innamorata, tradita dall’uomo che amava e, infine, abbandonata. «Soffro, lo capite che soffro?»

Questa esposizione della sofferenza, questo dolore che non riesce a farsi silenzio, questo pianto perenne che non riesce a restare chiuso nel corpo, ma che deve sprigionarsi prima in parole e poi in azioni di sangue. Ho chiesto a Orietta Notari di essere Medea perché è un’attrice straordinaria e capace di raggiungere grandi note di dolcezza. Vorrei vedere in Medea una fanciulla, un animale ferito. Più è fragile e più riuscirà a spaventarmi. Ho rivisto Medea nell’interpretazione di Olivia Colman nella Favorita di Yorgos Lanthimos: istinto, nobiltà e follia ma anche amore incondizionato e irrefrenabile. Per amore è disposta a tutto, anche a devastare il suo nome e il suo ricordo. Non mi piace quando vedo la Grande Medea forte e capace di strategia, con costumi importanti e un trucco forte, mi sembra un pensiero un po’ macchiettistico, mi piace vederla attraverso gli occhi dei bambini che parlano così poco, ma che vedono tutto. Una mamma che ama tanto il papà e che piange perché il papà si vuole sposare con una donna più giovane: la principessa. Con Riccardo Baudino, dramaturg, abbiamo convenuto di sostituire la figura di Giasone proprio con la figlia Glauce per mettere in primo piano le relazioni tra persone. Le relazioni dell’amore.
Ed ecco che nelle solitudini della mia fantasia appare un coro di innamorati che chiede attenzione, ecco Vanja, Bernarda Alba, Alceste, Amanda Wingfield e tutti i traditi e gli abbandonati di questo magnifico teatro che sussurrano piano: «Soffro, lo capite che soffro?»