26 Aprile 2024

Zarabazà

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“POUR UN OUI OU POUR UN NON”

Per un sì o per un no è quel nulla che può cambiare tutto, quel nonnulla che provoca lacerazioni profonde, ferite insanabili.

Di Nathalie Sarraute, scritto per la radio nel 1981, rappresentato in teatro nel 1986.

Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi;

con Umberto Orsini Franco Branciaroli;

produzione Compagnia Orsini e Teatro de Gli Incamminati in collaborazione con Centro Teatrale Bresciano.

Foto di Antonio Parrinello.

Nathalie Sarraute, una scrittrice nata nel 1900 che ha narrato di cose che continuano ad accadere; Pier Luigi Pizzi, un regista pluripremiato, classe 1930; Umberto Orsini e Franco Branciaroli affatto lontani da pose plastiche e comode, si muovono in lungo, in largo e pure in alto salendo su sedie e tavoli, all’occorrenza della scena, con una disinvoltura che fa dubitare sulla veridicità delle loro date di nascita. A dire il vero, anche il loro fisico asciutto stupisce e desta ammirazione. Semmai qualsiasi critico o sedicente tale volesse appropriarsi della libertà di commentare la prestazione di questi due magnifici animali da palcoscenico e volesse indugiare alla ricerca di una défaillance, una interpretazione non pertinente, cascherebbe assai male, non fornendo essi neppure un filo di capello con cui torcergli il collo.

L’ idea scenica appartiene allo stesso regista che come scenografo e costumista avviò la propria carriera: egli ha previsto due colori nettamente opposti come il bianco ed il nero. Il nero delle pareti lavagna, degli abiti dei protagonisti; il bianco delle alte librerie con lunghe file di libri, delle poltrone Wassilly (Marcel Brauer, 1926), e di una Martinelli luce ruspa 4 (Gae Aunt, 1968). Una tenda bianca che si raccoglie a pacchetto su una finestra che tenta lo sfogo verso l’esterno di ogni reazione; Il bianco dei gessetti con cui verranno scritte le parole “degnazione” e “geloso”. Al centro, un elemento sgargiante, un divano moderno di un colore rosso sangue.

Le nette separazioni delle elucubrazioni del padrone di casa (Umberto Orsini), reticente sulle prime a voler accontentare le curiosità dell’amico (Franco Branciaroli) a cui da tempo non si palesa. Ambiente arredato con lusso e ricercatezza, privo di sfumature, forse come il carattere di chi lo abita che accusa infine l’altro di essersi comportato in modo affabile e compiacente, come verso non un proprio pari, bensì un inferiore. Inferiore per scelte professionali e familiari, non diverse ma non come le sue… Una frase risposta come apparente e casuale intercalare di un discorso di consueta confidenza viene chirurgicamente scomposta per giungere infine alla dimostrazione che, benché l’affetto di storica data leghi i due uomini, invero essi hanno prodotto nelle proprie esistenze le stesse energie emotive.

Natalie Serraute, avvicendandosi fra le identità morali di Fedor Dostoevskij e l’alienazione angosciosa di Franz Kafka, ha a lungo vissuto (è morta all’età di 99 anni il 19 ottobre del 1999) e scritto sperimentando l’importanza delle parole nel “non discorso” che i personaggi dei suoi “anti-romanzi” elaborano alla ricerca di un cavillo dialettico, spinti non da una coerenza bensì da un tropismo, ovvero quel comportamento generato dall’impulso del momento causato da un fenomeno non sempre identico.

Natalie Serraute

In “Per un si o per un no“, i due amici non hanno un nome come spesso accade nei romanzi della scrittrice francese di natali russi e origini ebree: sono essi stessi megafoni, ripetitori di parole delle quali ricercano i più spettrali significati, arrivando addirittura a fissarle sulle pareti. Orientati in momenti diversi verso una reazione, come girasoli a seconda della luce che li stimola.

Umberto Orsini e Franco Branciaroli non hanno compito facile in un contesto tanto contrario ad ogni cliché narrativo: eppure abbandonano lo sviluppo del personaggio e si concentrano sulla responsabilità di asservirsi alla parola per spiegare ciò che “non accade”. Essi stessi parte della scenografia, si aggirano fra gli elementi scelti per arredare il palcoscenico e rendere la ricerca stilistica dell’autrice, eccependo un’unica pausa, quella alla finestra sui cui vetri finalmente si rimandano le loro immagini, quasi a prendere consistenza; cornice aperta fuori su un mondo che si lascia andare al suono di una musica allegra….”dove guardo, là è la vita”…l’unica riflessione personale da cui quasi subito fuggono per orientarsi verso l’ennesima emozione passeggera e polemica. Infine, laddove sembra essere calato il sipario della chiarezza, completato il percorso diffamatorio, archiviati i patimenti, quando l’uno si rilassa ed assopisce sul rosso sofà, l’altro forse no…