1 Maggio 2024

Zarabazà

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AINETT STEPHENS RACCONTA A LUCA CASADEI: “MIA MADRE NON È MAI STATA UNA MADRE AFFETTUOSA, ERA MOLTO FREDDA, TUTTO QUELLO CHE SONO LO DEVO A MIA NONNA”,

NELLA NUOVA PUNTATA DI “ONE MORE TIME” ONLINE OGGI

“IO E I MIEI FRATELLI NON ABBIAMO MAI AFFRONTATO VERAMENTE IL TEMA DELLA SUA PERDITA. ABBIAMO AVUTO TROPPE MANCANZE EMOTIVE, SIAMO CRESCIUTI COME PIANTE SELVAGGE”

“IL MARITO DI MIA MADRE CI PICCHIAVA, ARRIVAVA LA POLIZIA, LUI MINACCIAVA MIA MADRE CON IL COLTELLO, L’ATTACCAVA AL MURO, IO AVEVO 5 O 6 ANNI”

“IN VENEZUELA HO SUBITO UN RAZZISMO GRAVISSIMO PERCHE’ ERO NERA. ERO CONTINUAMENTE DERISA, NON VOLEVO NEMMENO PIU’ ANDARE A SCUOLA”

“LA DIAGNOSI DI AUTISMO DI MIO FIGLIO E’ STATA UNA VALANGA PER ME. ERO DEPRESSA, NON VOLEVO USCIRE, PENSAVO SOLO A MANGIARE, MI SENTIVO INUTILE… E’ DURATA UN ANNO E MEZZO. NE SONO USCITA GRAZIE ALLA FEDE”

L’ex modella e showgirl venezuelana – la “gatta nera” del Mercante in fiera – si racconta in una lunga intervista a Luca Casadei nella nuova puntata del podcast One More Time disponibile da oggi su OnePodcast e sulle principali piattaforme.

“Avevo 22 anni quando è scomparsa mia sorella, ero già qua in Italia. Mia madre e mia sorella sono partite per fare un viaggio, sono andate nei Caraibi, poi quando sono tornate indietro le hanno rapite e le hanno uccise tutte e due. Non sappiamo niente di più. Quando lo racconto le persone rimangono basite perché lo racconto con tanta tranquillità. La verità è che loro sono dentro di me. Io le ricordo con tanto amore, ricordo mia madre quando ballava le canzoni di Bob Marley… voglio ricordarmi questi momenti. Ho cercato di tenermi il meglio di loro”. Così Ainett Stephens intervistata da Luca Casadei nella nuova puntata del podcast One More Time di OnePodcast.

Una storia tristemente nota, che la celebre modella e showgirl venezuelana – famosa in Italia come la “gatta nera” del Mercante in fiera – ha reso pubblica un paio di anni fa, ma senza mai entrare nel profondo del complicato rapporto con la madre. Racconta a Casadei: “A livello di relazioni con altri bambini la mia è stata un’infanzia molto gioiosa. Ma mia madre non è mai stata una madre affettuosa, era molto fredda, lavorava tutto il giorno ed era molto severa. Noi eravamo tutti molto indipendenti. Adesso che sono una donna mi rendo conto che con i miei fratelli non abbiamo mai affrontato veramente il tema della perdita di mia madre. Abbiamo avuto tante mancanze emotive, troppe cose dolorose, e siamo cresciuti come piante selvagge. Non abbiamo avuto nessuno che ci ha veramente seguito” . “Io ho vissuto qualche anno con mia nonna e posso dire che tutto ciò che sono lo devo a lei. Quando mia nonna mi preparava il panzerotto fritto io me lo ricordo, perché lei lo faceva con amore. Invece mia mamma lo faceva quasi per dovere. Sono quelle piccole cose che i bambini colgono”.

Nell’intervista parla del contesto familiare nel quale è vissuta – “Eravamo 8 fratelli. Mia madre ci ha cresciuti da sola, mio padre provvedeva solo economicamente. Vengo da una città venezuelana di periferia, abitavo in un quartiere carino, eravamo una famiglia povera ma le cose basiche le avevamo” – ed emergono violenze e traumi che l’hanno profondamente segnata: “Abbiamo vissuto delle violenze da parte di un marito di mia madre. Per qualunque cosa ci picchiava. Arrivava la polizia in casa, lui minacciava mia madre con un coltello, l’attaccava al muro… io avevo 5 o 6 anni”

Un’infanzia e un’adolescenza segnata anche dal bullismo e dal razzismo di cui è stata vittima: “Il venezuelano tipico è olivastro e c’è un grosso problema di razzismo – oggi mi dicono un po’ meno ma allora era molto molto grave – e quindi ogni giorno a scuola ero bullizzata e derisa perché ero nera, è arrivato un momento che non volevo nemmeno andare più a scuola. Al casting per Miss Venezuela avevo 17 anni, eravamo 54 ragazze, ero l’unica nera e mi prendevano tutte in giro. Ho fatto il casting solo perché ha insistito mia mamma, però poi ho vinto e sono stata ammessa al concorso. Ma mi sono accorta di essere bella solo quando sono arrivata in Italia”.

È proprio l’arrivo in Italia a dare una svolta alla vita di Ainett Stephens. Qua comincerà a lavorare come modella e poi come showgirl: “I miei fratelli quando mia madre è morta sono rimasti letteralmente in mezzo di strada. Hanno vissuto situazioni di pericolo. Io ero già in Italia ma non aveva la disponibilità economica per aiutarli. Poi da Dio è arrivato questo grande dono e nel giro di un anno improvvisamente ho iniziato a lavorare in tv e tutto è cambiato”.

Nella lunga intervista Ainett parla anche di suo figlio, a cui a due anni è stato diagnosticato l’autismo: “Dopo due anni dalla sua nascita ci siamo accorti che qualcosa non andava. A due anni ha smesso di parlare, saltava, giocava ma non parlava. Lo abbiamo portato da una neuropsichiatra e appena Christopher è entrato, lo ha osservato per qualche minuto e ho capito subito da come lo guardava che c’era qualcosa che non andava. Abbiamo fatto ulteriori analisi e la diagnosi è stata di autismo”. “A noi questa notizia c’è arrivata “senza anestesia”… Io ho sofferto tantissimo, forse più del padre, nel senso che l’ho presa con più dramma”. “Non si può guarire. Dovevamo decidere quale percorso riabilitativo scegliere, ce ne sono tanti, ed eravamo ancora sotto choc. Poi devi parlare con i parenti, e io ho aspettato tanti mesi… devi avere il tempo di metabolizzare, realizzare e accettare soprattutto”

Un percorso di accettazione complesso, che l’ha portata a vivere un periodo di grande depressione, dal quale è uscita cercando conforto e forza nella fede: “La perdita di mia madre in maniera tragica e questa diagnosi sono state le prove più dure della mia vita. È stata come una valanga. Ero depressa, l’ho capito dopo, non volevo uscire, continuavo a mangiare, ero ingrassata. Mi sentivo inutile, avevo l’autostima molto bassa. È durata un anno e mezzo. Poi quando stavo per toccare il fondo ho capito che avevo bisogno di aiuto. Ho chiamato una mia carissima amica e le ho detto che stavo male e che volevo pregare per la mia famiglia e per mio figlio. Ognuno trova conforto come meglio crede, io mi sono sentita di trovarlo in Dio e per me è stato più efficace che se fossi andata dallo psicologo ”

L’intervista prosegue con il racconto della sua rinnovata consapevolezza e della loro vita quotidiana oggi: “Christopher oggi ha 8 anni, va a scuola. Non socializza ma è molto amato grazie a Dio. Fa sport, fa tutto, comunica solo in modo diverso. (…) L’autismo è un problema di comunicazione e lo spettro autistico è molto ampio, i bambini autistici hanno tutti caratteristiche diverse. La cosa importante, fondamentale, è la diagnosi precoce”