26 Aprile 2024

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Marco Polo e il Milione tradotto in latino-veneziano dai frati predicatori di San Giovanni e Paolo

Venezia – A volte le scoperte si fanno così, a caso, o forse assistiti dalla fortuna. O magari semplicemente sollevando un lembo di una pergamena che rivela uno dei nomi veneziani più evocati in tutto il mondo. Marco Polo con il suo Milione, un trattato storico e geografico, un libro di viaggi, ancora oggi considerato un capolavoro della letteratura italiana per la sua rilevanza. Il Milione di Marco Polo ne ha fatta di strada, e ancora ne farà. Perché tante sono le curiosità che gli studiosi non hanno finito di indagare. Una recente scoperta, da parte degli studiosi dell’Università Ca’ Foscari, apre nuovi scenari sul rapporto stretto tra il veneziano Marco Polo e i frati
Domenicani della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Nelle iniziative che i frati hanno organizzato in occasione dei 1600 anni di Venezia, anche Marco Polo sarà quindi un vero e proprio protagonista. Da venerdì 11 giugno, alle 15, con cadenza settimanale verranno organizzate delle visite guidate per conoscere i personaggi più famosi le cui spoglie sono conservate all’interno della Basilica. E sarà l’occasione per parlare dei Domenicani, che tradussero dal volgare al latino il Milione per agevolarne la diffusione e renderlo una sorta di guida per l’evangelizzazione dell’Oriente. Tutto inizia dal ritrovamento, da parte di Marcello Bolognari, al primo anno di dottorato di Ca’ Foscari in italianistica, di un documento finora inedito e sconosciuto che mostra la presenza, e il ruolo, di Marco nel convento Domenicano di Venezia dopo il suo ritorno dalla prigionia a Genova. 

La scoperta della pergamena con la citazione poliana datata 31 marzo 1323 ha sostanzialmente due micce: una diretta e una indiretta – spiega Bolognari – quella indiretta è stata la comunicazione del testamento di Marco Polo, a cura di Attilio Bartoli D’Angeli nel 2019, che ha restituito alla verità storica il nome di uno dei due frati Domenicani citati da Marco nelle sue ultime volontà. La miccia diretta è stata invece la felice intuizione di Antonio Montefusco dell’Università Ca’ Foscari, che ha suggerito l’importanza che avrebbe avuto la ricerca in archivio di Stato di Venezia, e nel fondo Santi Giovanni e Paolo, di altri documenti che attestassero la presenza di questi due frati,
chiamati Benevenuto e Cetorio o Centurio
”. 

La pergamena è in latino, scritta da un notaio padovano e sostanzialmente certifica l’accettazione da parte dei frati Domenicani, riuniti in capitolo, di un ingentissimo lascito testamentario da parte di un ricco e probabilmente mercante veneziano di Santa Trinità chiamato Giovanni Dalle Boccole, che era morto nel 1321. Questo lascito come specifica lo stesso attestatore, era destinato “all’amplificazione” della Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo.

Il ritrovamento della pergamena è importante perché non lascia dubbi sull’effettiva esistenza di uno stretto scambio tra il mercante e i predicatori, che per lui eseguirono una traduzione “Z” del libro, ossia latino-veneziana: tra i firmatari riuniti a capitolo nel convento, compare infatti anche il nome di “Marco Paulo de confinio Sancti Iohannis Grisostomi”. 

La pergamena in questione attesta la presenza di Marco Polo nel capitolo dei frati predicatori dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia – continua Bolognari – Questa menzione è particolarmente importante per due motivi: il primo è che abbiamo un’attestazione della vita di Marco Polo una volta tornato dal viaggio in Cina, nel 1295, e serve quindi ad illuminare una nuova tappa nel cammino di Marco. Il secondo motivo, che è ancora in via di approfondimento, è il risvolto filologico che ha questa scoperta sul Milione. La teoria che viene quasi confermata da questo documento è che Marco Polo, una volta tornato a Venezia dalla prigionia genovese conclusasi nel 1299, avesse rivisto una nuova versione della sua opera insieme ai frati predicatori dei Santi Giovanni e Paolo, quindi i i frati veneziani”.

Una delle curiosità di questa vicenda riguarda proprio il suo casuale ritrovamento. 

È di grande formato – racconta lo studioso – e la cosa più curiosa è che il nome di Marco era sotto una piega. Non ce ne siamo accorti fino a quando a quando non abbiamo semplicemente sollevato quel lembo”.

Il rapporto tra il viaggiatore veneziano e i frati va anche contestualizzato nello scenario che, tra il 1200 e il 1300, vede uno slancio missionario in Oriente: Marco Polo, era evidentemente persona di
piena fiducia dell’Ordine, all’interno del capitolo del convento veneziano, e il suo libro era un fondamentale strumento per l’evangelizzazione grazie alle informazioni e conoscenze antropologiche
dei costumi orientali.

L’aspetto curioso del Milione è che c’è una versione originale franco-italiana scritta a Genova con Rustichello da Pisa durante la prigionia, però il successo di questa opera è stato talmente immediato e travolgente che sostanzialmente della versione originale abbiamo un solo manoscritto, mentre è stata tradotta tantissime volte in catalano, in volgare veneto, emiliano, in latino più volte – conclude Bolognari – Quindi diciamo che il Milione è noto perché è plurilingue e non della lingua originale: soprattutto le latinizzazioni sono molto legate all’Ordine Domenicano. Questa particolare versione soprannominata “Z” dagli studiosi presenta delle aggiunte rispetto alla versione franco-italiana che si dicono essere originali. Quindi non si capiva come fosse possibile che questa versione latina avesse dei dettagli in più rispetto alla versione franco-italiana. L’idea che ci siamo fatti è che Marco Polo, una volta tornato a Venezia, si sia dedicato ad aggiungere altri brani alla sua opera, magari dopo qualche chiacchierata. Quindi questa versione “Z” presenta dei dettagli aggiuntivi, che reputiamo siano stati fatti da Marco con i frati”.