
“AOC” degli Zipper Blues è una canzone che parla di vino. Ma non solo. Dietro quella sigla francese che apre il brano – Appellation d’Origine Contrôlée – c’è molto di più di una semplice denominazione: c’è un discorso su identità, autenticità, e forse anche su quanto ci aggrappiamo alle etichette per sentirci più sicuri.

Zipper Blues – AOC
Musicalmente, il pezzo è una bomba. Parte lento, poi arriva quella scarica di chitarre e ti ritrovi catapultato in pieno rock anni ’90, con tutta la grinta e l’onestà che ne consegue. È sporco il giusto, diretto, con una voce che non ha paura di graffiare. Ma il cuore della canzone, secondo me, sta proprio nel testo.
Parlano di vino, sì. Di qualità, di provenienza, di riconoscibilità. Ma il messaggio è più ampio: viviamo in un’epoca in cui tutto deve essere certificato, garantito, inquadrato in uno standard. Vale per il cibo, per la musica, per le persone. E allora ti chiedi: stiamo cercando solo prodotti “di qualità” o stiamo soffocando sotto tutte queste etichette?
Forse “AOC” ci dice proprio questo: che vale la pena cercare ciò che è autentico, non necessariamente perfetto. Che l’origine conta, ma anche la strada fatta per arrivare fin qui. E che, a volte, quello che rimane nel cassetto per un po’ — come questo brano — ha solo bisogno del momento giusto per uscire ed essere capito davvero.
Gli Zipper Blues non fanno sconti, e in un panorama musicale dove spesso si rincorre la formula vincente, loro scelgono di suonare qualcosa che somiglia più a un brindisi sincero tra amici che a un prodotto confezionato. E onestamente? Ci voleva.
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