
Il diritto oggi non è solo disatteso, ma messo in discussione nella sua stessa funzione. A livello internazionale, alcuni leader si arrogano il potere di definire concetti fondamentali come “guerra”, sostenendo le proprie interpretazioni con la minaccia della forza. Non si tratta solo di parole: si vuole sostituire al significato condiviso un’interpretazione imposta, svuotando le norme del loro valore originario.
Anche nel contesto interno si rilevano distorsioni, soprattutto sul concetto di libertà. La libertà, in termini giuridici, non è un valore assoluto, ma si articola in libertà specifiche, diverse per ogni ambito e sempre sottoposte a limiti, se previsti dalla legge. È il caso della tutela della salute pubblica: l’art. 32 della Costituzione prevede la possibilità di trattamenti sanitari obbligatori, purché stabiliti dalla legge e nel rispetto della dignità umana. Le vaccinazioni, in tal senso, non violano diritti, ma rispondono all’interesse collettivo. Opporsi a queste misure sulla base di opinioni personali prive di fondamento scientifico è un atteggiamento che confonde convinzione con diritto.
Anche nelle dinamiche associative, come nel caso di alcuni partiti politici, emerge il conflitto tra regole statutarie e decisioni discrezionali. Attribuire alle scelte degli organi dirigenti un valore superiore allo statuto mina le basi giuridiche dell’organizzazione. Il giudice, chiamato a intervenire, non viola l’autonomia politica, ma garantisce il rispetto delle norme.
Persino il linguaggio riflette questa crisi del rapporto tra norma e soggetto. L’uso scorretto della grammatica, l’abbandono delle regole sintattiche tradizionali, mostrano una tendenza diffusa ad adattare le regole alla propria visione, anche nei dettagli più minimi. Non stupisce, quindi, che molti si sentano autorizzati a ignorare regole condivise, dal rifiuto del vaccino all’uso della mascherina, in nome di una libertà percepita, ma spesso fraintesa. È l’immagine di un tempo in cui l’opinione personale sembra contare più della legge.
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