
Se il patriarcato è dominio assoluto degli uomini sul mondo, certamente tale significato non può tollerare alcun tipo di libertà, né tantomeno quella sessuale o di genere. Per capire bene perché il patriarcato fa sì che non si accettino le libertà sopra citate, è bene capire la differenza tra sessualità e genere. La fase più recente del dibattito dei diritti delle donne si è consolidata nella prospettiva del cosiddetto “empowerment”, a cui potrebbe essere ricondotta la riforma dell’art. 51 della Costituzione italiana.
Da molti anni ormai nel linguaggio giuridico è stato inserito il termine “gender” accanto o in sostituzione del più tramandato riferimento al sesso, soprattutto in normative quali quelle sull’eguaglianza e, non di minore importanza, sulla non discriminazione. Nonostante nel linguaggio corrente i due termini ‘‘sesso’’ e ‘‘genere’’ siano utilizzati in maniera interscambiabile, il loro significato è piuttosto differente: il primo si riferisce ad un ambito corporale, il secondo, al contrario, a una scelta personale. Come gli studi scientifici e filosofici hanno studiato: Sesso indica il fenomeno empirico e la condizione naturale (intesa in senso biologico) della differenza fisica uomo/donna (si parla di differenza sessuale); gender indica la rappresentazione psicologico simbolica, il condizionamento sociale e la costruzione storico culturale dell’identità maschile/femminile (a prescindere dalla considerazione della natura).

Insomma, citando una famosissima frase di Simone de Beauvoir frequentemente citata nei gender studies, “donna non si nasce, lo si diventa’’: di conseguenza, se il sesso designa un essere, donne o uomini, come dato, invece il genere rappresenta un divenire, maschio o femmina. In molte decisioni giurisprudenziali i due termini sono interscambiabili, al contrario che negli atti normativi, in cui accanto al termine “sesso” è negli ultimi anni evidenziata anche la nozione di “orientamento sessuale” o di “tendenza sessuale”. Le differenze sul piano significativo dei termini “sesso” e “genere”, oppure “sesso” e “orientamento sessuale” hanno posto alcuni interessanti problemi giuridici, soprattutto in ambiti quali i diritti delle persone transessuali. In tal senso, è utile confrontare alcune delle prime decisioni, risalenti alla metà degli anni ‘80, quale la Sentenza n. 161 del 1985.

Il problema affrontato dalla Corte costituzionale riguardava la richiesta di modificare i dati anagrafici di una persona, poiché aveva deciso di modificare i suoi caratteri sessuali. Il problema è stato in seguito disciplinata dal legislatore con la legge n. 164 del 1982, che consente la modifica dei dati anagrafici non soltanto nei casi di indeterminatezza sessuale o intersessualità che a volte si riscontrano alla nascita, ma altresì quando il corpo ha un sesso determinato, ma la persona soffre di psicosessualità, ossia sente di appartenere al sesso diverso da quello del suo corpo. La Corte costituzionale, con la citata sentenza, ha appoggiato le scelte del legislatore. Tra i vari concetti della Corte esplicati nella sentenza, può essere utile citare il seguente: “Concetto di identità sessuale nuovo e diverso rispetto al passato, nel senso che […] viene conferito rilievo non più esclusivamente ad organi genitali esterni […] ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale’’. In altre parole, il concetto di identità sessuale esplicato dalla Corte è quello di ‘‘dato complesso della personalità, determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l’equilibrio, privilegiando — poiché la differenza tra i due sessi non è qualitativa, ma quantitativa — il o i fattori dominanti”.
Con questa considerazione, la Corte scrive che la scienza medica afferma che “il transessuale, più che compiere una scelta propriamente libera, obbedisce ad una esigenza incoercibile, alla cui soddisfazione è spinto e costretto dal suo ‘‘naturale’’ modo di essere”.
Nel caso specifico della sentenza, la rettificazione dei dati all’anagrafe sarebbe una conseguenza dovuta al termine di un lungo processo medico e legale, in cui hanno molta importanza sia le opinioni dei medici sul piano psicofisico sia quelle dell’autorità pubblica: un dettaglio non irrilevante della legge, infatti, è che essa esige un’autorizzazione del giudice, senza la quale non è possibile l’intervento chirurgico volto ad adeguare il soma alla psiche.
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