
Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti, giovane deputato socialista rodigino, veniva brutalmente assassinato da 5 squadristi fascisti. Ad essere colpito a morte fu il più coraggioso oppositore del regime fascista, l’uomo che aveva avuto il coraggio e la dirittura morale di condannare i brogli elettorali messi in atto dalla dittatura e la corruzione presente nel governo presieduto da Benito Mussolini. Ciò che non è sfuggito ai migliori studiosi di Giacomo Matteotti sono le caratteristiche che hanno fatto di lui un politico moderno. In primis, il senso di libertà unito alla comprensione di quanto era avvenuto contestualmente alla sua nomina a segretario del Partito socialista unitario, cioè l’avvento di Mussolini al governo: mentre del suo incarico, che avrebbe dovuto essere provvisorio «per due mesi» e che invece si era prolungato «per un anno», non esitava a sottolineare gli elementi critici – definì a Turati la nuova formazione un «troiaio» e i suoi dirigenti «leoni del buon tempo andato, tutti presi dalla gotta» in cui «ognuno fa quello che vuole, cioè nulla» –, Matteotti fu uno dei pochi politici del 1923-24 a capire la pericolosità del nascente regime; su quell’anno terribile scrisse pure un libro, le cui bozze doveva correggere a casa nel pomeriggio del fatidico 10 giugno 1924, intitolato Un anno e mezzo di dominazione fascista, per il quale aveva chiesto aiuto a Turati e che uscì postumo a Bruxelles, Londra e Berlino. In secondo luogo il suo europeismo, testimoniato non solo dai viaggi compiuti nel continente ma soprattutto dalla forte impronta che lasciò sugli esuli in Gran Bretagna e dal suo pensiero circa il futuro dell’Europa, sostanziato non già di teorie sulla costruzione sovranazionale quanto di «contenuti e basi concrete per le fondamenta della sua nascita».

Ancora, il suo internazionalismo, coerente con il suo socialismo, che lo portò ad opporsi alla guerra di Libia come alla Grande guerra, in cui fu peraltro richiamato. Infine, il coraggio che dimostrò ripetutamente durante la sua attività politica e parlamentare: un coraggio indomito, civile e personale, dimostrato in numerose circostanze, da quella menzionata da Carlo Rosselli in cui, durante la campagna elettorale del 1924, scese in piazza Colonna con un pentolino di colla per attaccare i manifesti elettorali strappati poco prima dai fascisti, sotto il naso di questi ultimi, al modo con cui replicò al presidente della Camera Rocco, che l’aveva interrotto nel celebre discorso del 30 maggio intimandogli di parlare «prudentemente» e a cui disse di voler parlare «non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente!». Un importante elemento che va sottolineato nel delitto Matteotti è l’isolamento, la paralisi in cui cadde il regime fascista, poco dopo essere pervenuto con la violenza e le illegalità alla conquista della maggioranza parlamentare (374 seggi su 535, il 69,9% degli eletti, grazie ai 355 eletti del listone e ai 19 di una lista nazionale bis).

L’omicidio del leader socialista originò una crisi politica drammatica e senza precedenti che costituì l’unico vero banco di prova prima dell’instaurazione della dittatura fascista: un pericoloso salto nel buio da cui Mussolini e il regime si salvarono solo per l’inettitudine di chi sarebbe potuto intervenire (la monarchia sabauda) e per l’incapacità delle forze politiche di opposizione di concertare un’azione, democratica o rivoluzionaria, comunque tale da ripristinare la legalità costituzionale. Il sovrano si trincerò dietro l’abituale sfera di superiorità, secondo cui non interferiva negli atti dell’esecutivo, ma l’art. 5 dello Statuto albertino recitava: «Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato»; secondo l’art. 6 egli nominava «tutte le cariche dello Stato» e in virtù dell’art. 7 sanzionava le leggi e le promulgava, mentre a detta dell’art. 9 convocava ogni anno le due Camere di cui poteva prorogare le sessioni, sciogliendo la Camera dei deputati; infine, secondo l’art. 22, il sovrano prestava giuramento di «osservare lealmente» lo Statuto concesso il 4 marzo 1848, non reso oggetto fino al regime fascista di modifiche sostanziali, nonostante l’evoluzione parlamentarista dello Stato italiano. Insomma di fronte all’assassinio di uno dei principali leader dell’opposizione del governo in carica, spazi di manovra ce n’erano eccome. Oltre all’evidente coinvolgimento nell’omicidio del leader socialista, Mussolini e il fascismo parvero improvvisamente isolati e sul punto di crollare, appena un mese dopo aver compiuto, con la vittoria elettorale, un decisivo passo verso l’involuzione liberticida del Paese.crollare, appena un mese dopo aver compiuto, con la vittoria elettorale, un decisivo passo verso l’involuzione liberticida del Paese.
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