INDUSTRIA CALZATURIERA ITALIANA: NEL 2022 CRESCONO IL FATTURATO, CHE CON 14,49 MILIARDI DI EURO (+14% SUL 2021) RITORNA AI LIVELLI PRE-COVID, E L’EXPORT (+23,3% A VALORE)
Tra i mercati, risultati premianti nella UE (+24,4% in valore la Francia e +27,4% la Germania su gennaio-ottobre 2021). Incrementi ben oltre la media in Nord America (USA +60%, Canada +68%) e Medio Oriente (+55%). Bene – seppur con risultati altalenanti durante l’anno, condizionati dai lockdown – anche la Cina (+41% in valore), ma soprattutto per l’alto di gamma (prezzo medio +34%). La guerra fa crollare le vendite in Russia (-26%) e in Ucraina (-59%); tra gli stati dell’ex blocco sovietico cresce il Kazakistan (+40%).
Il comparto calzaturiero nel 2022 supera la crisi del biennio pandemico e continua la sua ripresa. Il fatturato sale a 14,49 miliardi di euro (+14% rispetto al 2021), recuperando i livelli 2019, rinvigorito dalla performance dell’export (+23,3% in valore), trainato dalle griffe del lusso. Si rafforza inoltre il saldo commerciale (5,54 miliardi, +7,6%), mentre i consumi delle famiglie (+9,6%) non riescono ancora ad annullare il gap col pre-pandemia (-2,5%). È la fotografia del settore scattata dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici presentata oggi, domenica 19 febbraio 2023, alla partenza del Micam, la più importante fiera del comparto in programma fino al 22 febbraio 2023 a Fiera Milano Rho.
Per Giovanna Ceolini, Presidente di Assocalzaturifici, i dati di preconsuntivo 2022 elaborati risultano positivamente orientati, ma descrivono un orizzonte non privo di insidie e difficoltà per le imprese del settore: “Sebbene il quadro di insieme sia incoraggiante, dopo un biennio complesso, ci sono alcune indicazioni meno confortanti. In primis la disomogeneità della ripresa (2 imprese su 5 non hanno ancora ripianato il gap col 2019 e parecchie non sono riuscite a superare la crisi, cessando l’attività) e poi le conseguenze delle dinamiche inflattive sugli utili delle aziende. L’anno che doveva segnare la piena ripartenza dopo la pandemia ha sì registrato il proseguimento del recupero della domanda, ma è stato penalizzato dal perdurare dei costi elevati delle materie prime, che dopo la fiammata di fine 2020 non hanno dato segni tangibili di ribassamento, e dai picchi record nei prezzi degli energetici, con un’inflazione mai così alta in Italia dal 1985. A ciò si è aggiunto, a fine febbraio, lo scoppio di un conflitto di cui ancora oggi non si vede la fine, in un’area da sempre tra i maggiori clienti di alcuni distretti calzaturieri italiani”.
Nel dettaglio, tra i dati di preconsuntivo spicca il nuovo record stabilito dall’export (10,48 miliardi nei primi 10 mesi, +23,5%, già superiore al valore dell’intero 2021), con un prezzo medio al paio che ha raggiunto i 57,26 euro (+10,7%). Un risultato su cui hanno rivestito un ruolo determinante le performance messe a segno dai brand internazionali del lusso, per i quali molte aziende italiane operano da terzista.
Tra i mercati, risultati premianti nella UE (+24,4% in valore la Francia e +27,4% la Germania su gennaio-ottobre 2021). Incrementi ben oltre la media in Nord America (USA +60%, Canada +68%) e Medio Oriente (+55%). Bene – seppur con risultati altalenanti durante l’anno, condizionati dai lockdown – anche la Cina (+41% in valore), ma soprattutto per l’alto di gamma (prezzo medio +34%). La guerra fa crollare le vendite in Russia (-26%) e in Ucraina (-59%); tra gli stati dell’ex blocco sovietico cresce il Kazakistan (+40%).
Tra le tipologie, le scarpe in pelle, tipiche della tradizione made in Italy, sono le uniche che ancora presentano un divario in volume sul 2019 (peraltro marcato: -10,4%).
Sul versante interno, gli acquisti delle famiglie hanno evidenziato variazioni contenute (+6,7% in quantità e +9,6% in spesa) ma comunque positive (benché il balzo dell’import, aumentato del 30% in volume, abbia reso ancor più dura la competizione sul mercato nazionale, particolarmente sensibile al fattore prezzo). La ripartenza dei flussi turistici in ingresso ha inoltre riavviato lo shopping degli stranieri, seppur notevolmente penalizzato dal crollo degli arrivi russi (in aggiunta a quelli cinesi).
Di questo progressivo consolidamento nei livelli di domanda si è giovata la produzione nazionale, salita a 162 milioni di paia (+8,9% sul 2021 ma ancora lontana dai 179 milioni del 2019); come pure l’occupazione, che ha registrato una prima inversione di tendenza, accompagnata da una forte riduzione delle ore di cassa integrazione guadagni autorizzata (-81% per le imprese della filiera pelle, con ancora però un +58% sul 2019).
I livelli occupazionali hanno registrato nel 2022 un rimbalzo, dopo la significativa contrazione di fine 2020 (-4%) e l’ulteriore -1,8% del consuntivo 2021, con il recupero di 1.750 addetti, pari al +2,5%, su dicembre 2021 (sono risaliti a 72.336). Un’inversione incoraggiante ma assolutamente insufficiente, comunque, a ripianare anche le sole perdite del biennio antecedente (-4.300 posti di lavoro).
Il lungo ed eccezionale periodo di crisi ha invece inasprito il processo di selezione tra le aziende, facendo scendere a 3.765 unità i calzaturifici attivi, con un saldo negativo di 216 unità a confronto con dicembre 2021: l’arretramento più pesante da un decennio a questa parte.
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