20 Aprile 2024

Zarabazà

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Al Gobetti venerdì 25 alle 21 “Lo stronzo”

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite, venerdì 25 novembre alle 21 al Teatro Gobetti di San Mauro, via Martiri della Libertà 17, va in scena “Lo stronzo”, di e con Andrea Lupo, una produzione Teatro delle Temperie
con il sostegno della Regione Emilia – Romagna.

La serata è organizzata da E20inscena, che gestisce la sala, con il patrocinio del Comune: l’ingresso sarà, per l’occasione, gratuito (possibile offerta libera).

« “Lo stronzo” è uno dei pochi spettacoli, forse l’unico, che mi ha totalmente convinto nell’affrontare il tema della violenza sulla donna – spiega il direttore artistico del Gobetti, Stefano MascagnoAndrea Lupo, autore e interprete dello spettacolo, riesce a rappresentare un uomo comune come può essere chiunque di noi senza esagerare o mostrare atteggiamenti finti che niente hanno a che fare con la vita reale. Lo spettatore esce dal teatro chiedendosi quanto le proprie azioni quotidiane prevedano in qualche modo l’umiliazione o l’oppressione dell’essere femmina. E’ uno spettacolo sincero che va visto per riflettere su se stessi».

Lo spettacolo

Cosa può portare un uomo a commettere atti di atroce violenza su una donna? Da dove arriva questa aggressività incontrollabile che, la maggior parte delle volte, si sfoga proprio tra le mura domestiche, sulle persone più vicine, sulle mogli, le compagne, le figlie? «Uno dei fattori che più frequentemente hanno in comune questi episodi di estrema violenza è il racconto dei conoscenti, degli amici, dei parenti: da tanti l’uomo violento viene descritto come una bravissima persona, come uno che mai e poi mai ha fatto del male a nessuno, un bravo papà, una bravo marito, uno “normalissimo”» afferma il regista, Andrea Lupo. Questa ricorrente “inspiegabilità” dei fatti evoca un altrove psicologico e culturale, che lo spettacolo cerca di raggiungere e individuare attraverso un lungo percorso di ricerca e documentazione.

Così, ha preso forma un personaggio, sul palco, Luca, senza alcuna specifica caratteristica che lo rendesse particolare: un uomo senza alcun trauma infantile, senza alcun esempio di uomo aggressivo in famiglia,  inserito in un contesto lavorativo di successo in modo che anche questo aspetto non potesse dare appigli per spiegare nervosismi o reazioni violente. Poi, una lunga e felice storia d’amore con Lilli. Ed è qui che lo spettacolo inizia a rispondere a domande: in quanti modi e a quanti livelli può un uomo usare violenza nei confronti della donna che ama? Quanti atteggiamenti o comportamenti che vengono da chiunque riconosciuti come “normali” e non particolarmente violenti sono in realtà veri e propri soprusi? Quando e quanto e come Luca è stato violento verso Lilli in tutti gli anni della loro relazione, senza che forse neppure lei se ne rendesse davvero conto?

Ecco, allora, sul palcoscenico un uomo comune, come può essere chiunque di noi. E un viaggio intimo e profondo nella sua sensibilità, nella sua forma mentale, nel suo essere uomo. Una situazione che lo mette profondamente alla prova dà vita a un viaggio massacrante in cui ogni caratteristica del maschile viene fuori fatta a pezzi, ridicolizzata, banalizzata al punto da risultare non solo obsoleta ma anche inutile e totalmente inconsistente.

La trama

E’ la sera del decimo anniversario di matrimonio di Luca e Lilli, la coppia è pronta per andare a festeggiare: una parola sbagliata, una reazione violenta, lei sbatte la porta e scappa. A nulla servono le imprecazioni, prima, e le preghiere, poi, per farle aprire quella maledetta porta e farla tornare. Luca non capisce, non si rende conto di quanta violenza metta quotidianamente, e da sempre, nel suo rapporto con Lilli. Luca davanti a quella porta chiusa prova a capire, cerca una chiave che possa riaprire la sua relazione. In scena troneggia al centro un’enorme porta chiusa volutamente anonima a simboleggiare tutte le porte, mentali, sociali, culturali o reali che separano il maschile dal femminile.

In scena Luca è solo, in affanno, sperduto, rabbioso, in gabbia, chiuso dentro o lasciato fuori, escluso, rifiutato, incapace. Si susseguono tre distinti piani narrativi: Luca che prova a farsi sentire da Lilli, malgrado l’immensa porta chiusa; Luca che ci mostra, in una sorta di estremo riassunto, il proprio rapporto con il femminile in casa, sul lavoro e fra gli amici; Luca che cerca quali esempi di maschile lo hanno portato ad essere quello che è diventato.

Nel frattempo, nessuna risposta dalla sua Lilli che sembra sempre più aver chiuso tutte le porte, ormai, lasciandosi definitivamente alle spalle Luca, rimasto solo nel grigiore delle proprie convinzioni, insieme ai propri stereotipi obsoleti e alla propria incapacità emotiva e relazionale.  Il viaggio di Luca attraverserà tutte le fasi emotive possibili finché, stremato, dovrà ammettere di non essere in grado di tenere il passo con una Lilli che vuole vivere intensamente e completamente la propria vita a prescindere da lui e da chiunque altro.

Resta solo, Luca, bloccato da quella porta che si renderà conto di non essere in grado di aprire, non perché Lilli l’abbia realmente chiusa ma perché è a lui che mancano i mezzi culturali ed emotivi per capirne i meccanismi e scardinarne l’impenetrabilità. Luca esasperato dal silenzio e dall’assenza di Lilli, infuriato contro di lei e contro la propria incapacità, colmo di sensi di colpa e frustrato da una opprimente sensazione di inadeguatezza dà, alla fine, sfogo a tutta la propria rabbia: trova nell’aggressività l’unica valvola di sfogo, l’unico modo per uscire da quella situazione per lui ormai insostenibile.

«Uno spunto di riflessione perché mi piacerebbe che, usciti da teatro, gli uomini ripensassero a tutti quei piccoli gesti quotidiani in cui il loro essere e sentirsi uomini prevede in qualche modo l’umiliazione o l’oppressione dell’essere femmina – conclude il regista – Mi piacerebbe che le donne, uscendo da teatr,o riconoscessero di essere ferite un poco ogni giorno e non lo permettessero più a nessuno».

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