24 Aprile 2024

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Phebo: “La storia del tempo perduto”

Phebo (Foto © Barbara Gallozzi)

Phebo: “La storia del tempo perduto” il nuovo singolo. Dovemmo recuperare i valori della socialità. Io li appresi nella mia Pescara…

Phebo è un cantautore delicato, attento, che unendo poesia e melodia, grazie alla sua voce ruvida sa raccontare storie che entrano nella pelle di chi ascolta. È quello che accade anche con La storia del tempo perduto, brano edito da Starpoint e Keep Hold, uscito il mese scorso e che sta riscuotendo grande successo nelle radio.

Abbiamo intervistato Phebo, che con questa canzone racconta anche l’importanza di non abbandonare le proprie radici e i valori originari. Lui, cantautore di Pescara, si racconta così in questa nostra chiacchierata.

La storia del tempo perduto è una vera narrazione, che sembra un monito per svegliarsi da un torpore sociale.

Il brano racconta proprio che, travolti da Internet e da un mondo sempre più digitale ci stiamo distaccando da valori molto semplici. Si comunica sempre di meno, trascurando inconsapevolmente gli amici e la famiglia.

In che modo?

Una volta ci si sedeva a tavola tutti insieme chiacchierando, raccontandoci la giornata, oggi troppe volte ci siamo abituati ad abbassare lo sguardo sui cellulari in attesa delle notifiche. In questi atteggiamenti c’è una mancanza di rispetto nei confronti di chi ci sta intorno e della famiglia stessa, che purtroppo sembra non preoccupare più di tanto. Ma soprattutto manchiamo di rispetto a noi, all’educazione che abbiamo ricevuto.

Quando pensi a quei valori con cui sei stato educato e a cui sei ancora legato, cosa ti viene in mente prima di tutto?

I consigli di mio nonno, l’attenzione con cui i miei parenti e i miei genitori mi hanno sempre spronato a fare emergere le mie passioni senza mettere da parte i sentimenti e apprezzando la semplicità dei piccoli gesti. Tutti valori che, in una cittadina come la mia Pescara, è come se non fossero mai cambiati. Ma se possono resistere in certi posti, allora vuol dire che non sono scomparsi e che troverebbero spazio anche nelle grandi metropoli, dove invece ci si lascia spingere da una velocità esagerata.

Cosa rappresenta per te Pescara?

Un punto di riferimento: essendoci nato e cresciuto, lì ho la mia famiglia e i miei più cari amici. Pescara, confinando a sud con Francavilla al mare e a nord con Montesilvano, è proprio al centro di panorami stupendi, tra mare e montagna, immersa in una vegetazione che ti fa già riabbracciare con la natura e la vita più autentica. E poi essendo appunto una cittadina, vive ancora certe comodità di spostamenti che consentono di conservare il lato più genuino e rispettoso verso gli altri. Io devo tutto a Pescara, ogni volta che ci torno riscopro una volta di più le mie radici, quella vita a cui sono legato.

Phebo – La storia del tempo perduto – cover

Come mai ti sei trasferito a Roma?

Le occasioni lavorative mi hanno spinto verso la capitale, di cui ormai ho appreso ritmi e stile di vita, facendomi crescere molto artisticamente. Diciamo che se Pescara è la mia prima casa, Roma è diventata comunque la mia seconda pelle: un monumento a cielo aperto ovunque ti muovi. Però non ho mai abbandonato, per l’appunto, nemmeno per un istante Pescara: col pensiero la vivo costantemente, anche nei piccoli gesti che mi riportano all’educazione che proprio lì ho ricevuto.

E poi anche Pescara è terra di grandi musicisti.

Sì, su tutti Piero Mazzochetti e Giò di Tonno. Nel quartiere Santa Filomena, tra Pescara e Montesilvano, è nato infatti anche il Festival della Melodia, a cui partecipai da giovanissimo classificandomi terzo nella selezione regionale e quindi secondo nella finale nazionale. Non sono un grande amante dei concorsi, ma Pescara riuscì anche a spingermi oltre alcune mie convinzioni.

Cosa non ti piace delle gare?

L’arte non dovrebbe vivere di competizione: può piacere oppure no, ma dovrebbe essere goduta a prescindere dalla tensione del concorso. Se decido di prendervi parte, quindi, è perché ne ho abbracciato la filosofia organizzativa più che l’idea della gara in sé.

Phebo
Phebo

Quest’anno sarai in finale al Premio Mia Martini con La storia del tempo perduto.

Ecco, lì sono stato spinto dall’importanza del Premio, dalla dedica a una grande interprete come Mimì, e mi ha rassicurato anche la presenza del direttore artistico, Franco Fasano. Se un autore importante, delicato e discreto come lui prende per mano questa manifestazione, vuol dire che si può vivere una kermesse senza l’ansia che accompagna di solito le gare: si pensa a esprimere la musica prima di tutto. Questo penso sia fondamentale: se i concorsi non vengono ben impostati, si rischia di far passare anche il concetto sbagliato per cui una mancata vittoria diventa un giudizio definitivo sulla carriera di un giovane.

La storia del tempo perduto parla di un tempo che non tornerà fisicamente, ma potrebbe farlo con i suoi valori dicevamo. Cosa ti fa ben sperare per il futuro?

Finito il Covid, stiamo tornando a vivere un po’ di più il contatto umano. Paradossalmente, la stessa crisi che accomuna tutti, ci potrebbe riavvicinare l’uno verso l’altro cercando il senso dell’unità nel gruppo.

Nel tuo prossimo futuro artistico cosa c’è?

Ho un brano pronto che probabilmente uscirà in piena primavera: devo ammetterlo, sono fortunato perché spunti creativi non mi mancano e mi sta capitando sempre di avere già qualcosa di nuovo su cui sto lavorando mentre sta uscendo il progetto precedente. Forse anche per questo riesco a raccontare con tanta fiducia il futuro.

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