25 Aprile 2024

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Pitti Through the Ages: Come lo spirito dello streetwear ha permeato Pitti Uomo

Pitti Through the Ages è una serie di approfondimenti incentrati sulla storia di Pitti e la sua eredità nell’abbigliamento maschile.

Words @samutaro

Due mondi diversi della moda vennero a collisione durante la 90esima edizione di Pitti Uomo, nell’estate del 2016, quando il designer russo di streetwear Gosha Rubchinskiy e una leggenda del menswear, il belga Raf Simons, presentarono le loro collezioni Primavera/Estate 2017. La decisione di Pitti di puntare i riflettori su due dei protagonisti più in vista del momento era corroborata con la crescente popolarità della moda street nell’abbigliamento maschile, che raggiunse il suo apice proprio quell’anno.

Raf Simons era già da tempo conosciuto per una particolare inclinazione verso il grunge, la cultura di strada e la musica underground, che si esprimeva attraverso uno stile minimalista-intellettuale da tardi anni ’90. Non solo le sue collezioni venivano venerate di stagione in stagione da fan in tutto il mondo, ma i suoi pezzi d’archivio – raccolti proprio a partire dalla fine di quel decennio – stavano riscuotendo grande successo nello streetwear grazie a celebrità come Kanye West e Travis Scott, che indossavano i suoi modelli iconici nei video musicali e sul palco dal vivo. Il fashion design di Simons, molto simile a quello del suo (quasi?) contemporaneo di Anversa Martin Margiela e di Helmut Lang, da anni aveva fatto colpo per le strade di Firenze, già prima della sua sfilata del 2016.


Sintonizzato su una simile carica di inquietudine adolescenziale e spirito della gioventù di fine secolo, il prodigio moscovita dello street e dello sportswear Gosha Rubchinskiy aveva goduto di un’ascesa fulminea grazie alla sua interpretazione sovversiva delle divise giovanili post-sovietiche. Per la sfilata a Pitti Uomo, Rubchinskiy aveva dedicato la collezione all’onda del cambiamento, traendo ulteriore energia dall’entusiasmo per essere stato invitato a presentare per la prima volta in assoluto in Italia. Lo show si tenne alla Manifattura Tabacchi, una fabbrica di tabacco degli anni ’30 abbandonata, individuata proprio per la sua somiglianza ad altri luoghi caratteristici di una certa Europa, quell’area al confine tra la Russia e il blocco orientale. Una scelta che si tradusse a sua volta in una collezione che sposava le radici russe di Gosha con la storica eredità di Pitti Uomo.

I quaranta teenager che Rubchinski aveva ingaggiato su Instagram per partecipare alla sfilata, tutti vestiti con capi delle sue collaborazioni con Fila, Sergio Tacchini e Kappa come una tribù anni ’80 di fanatici del calcio fissati con la moda, rappresentavano bene la rivoluzione streetwear in atto nell’abbigliamento maschile. Lo stesso Pitti Uomo nel 2016 era già andato ben oltre le proprie origini di salone dedicato alla sartoria per affermarsi come tappa fondamentale nel calendario della moda internazionale: centinaia di buyer, blogger, stylist, editor, influencer e aspiranti fashion insider, cominciavano a farne un appuntamento irrinunciabile, tra le settimane di Londra e Milano. Grazie a questa crescita di presenze e anche all’arrivo di piattaforme più interessate al mondo giovanile come Hypebeast e Highsnobiety, che documentano lo street style, Pitti era diventato in modo naturale una proposta più attraente per le avanguardie della moda. Questo non vuol dire che lo streetwear non fosse mai stato presente in Fortezza da Basso prima di allora. Già all’inizio della decade c’era chi si presentava con look da skater e punk indossando brand come Supreme, Undercover e alcuni dei capi dello streetwear di lusso che Riccardo Tisci stava realizzando a Givenchy in quell’epoca.

Il boom di questa nuova specie di divisa per millennial influenza anche lo street style visto a Pitti. Se una volta era tutto Pitti Peacocks – gli uomini in abiti sartoriali dai colori vivaci – presto lo sguardo si è spostato su tutte le varianti di abbigliamento maschile, dagli appassionati di streetwear ai minimalisti fino ai veri e propri esibizionisti. Ora incontrare qualcuno che indossa un piumino Louis Vuitton disegnato da Virgil Abloh e le Jordan di Dior è tanto frequente quanto vedere un cappotto di tweed e dei mocassini. “Pitti Uomo era prevalentemente dedicato alla sartoria da uomo classica, e sebbene questa sia ancora una presenza forte, la fiera ha adesso un impatto maggiore sullo streetwear e sull’avant-garde”, riportava Highsnobiety nel 2017.

I social media hanno sicuramente contribuito all’esplosione dello streetwear: i loghi e le grafiche fanno colpo tra i consumatori ossessionati dall’immagine. Ora che Instagram è la piattaforma definitiva per scoprire la moda, non sorprende che le gallerie di street style dedicate a Pitti su pagine come Grailed o NSS Magazine spingano i look che presentano i loghi dei brand più ricercati del momento o prodotti esclusivi di marchi ambiti per suscitare l’interesse tra il pubblico più giovane. Non vi è dubbio che tutto ciò abbia aiutato a far conoscere Pitti Uomo e, di conseguenza, a portare un nuovo tipo di pubblico all’evento e ampliare il suo richiamo. Per i fan della moda come espressione culturale, quello show back-to-back (lo tradurrei ‘con i modelli schierati in duplice fila’) è stato una vera perla sotto tutti gli aspetti. Si è trattato di un raro evento di menswear con protagonisti due dei designer più lungimiranti in attività oggi. L’ultima volta che UNDERCOVER aveva presentato abbigliamento maschile era stato sempre a Pitti Uomo nel 2009, mentre Takahiro Miyashita non aveva mai portato The Soloist in passerella, tranne che una volta a Tokyo, qualche mese prima dell’evento di Firenze. Come ci si può aspettare in un momento così straordinario, anche fuori dallo show lo street style non ha deluso. Cosa possiamo dunque aspettarci dallo street style di Pitti Uomo in futuro? Se le recenti presentazioni indicano una qualche direzione, sembra che la sartoria potrebbe avere un ritorno. Lo streetwear ha dominato il panorama maschile negli ultimi quattro anni, ma persino Virgil Abloh, il pifferaio magico del movimento, lo ha dichiarato morto l’anno scorso. Le sue recenti collezioni per Louis Vuitton, insieme a quelle di altri illustri allievi dello streetwear come Kim Jones e Matthew Williams, hanno scosso la sartoria con un nuovo approccio giovanile che sembra più rilassato, moderno e progettato con meno rigidità. Mentre la pandemia globale continua a impedire qualsiasi spettacolo dal vivo, dovremo aspettare ancora per capire cosa ci riservi il futuro. Forse i pantaloni della tuta a cui ci siamo tutti abituati potrebbero diventare protagonisti della scena. Miuccia Prada e Raf Simons ne hanno fatto un valido argomento per la primavera/Estate 2021 e dati i precedenti di Simons nel definire le tendenze maschili potrebbe non esserci andato così lontano